I boss non hanno avuto alcun tipo di remora a foderare di veleni i propri paesi, a lasciar marcire le terre che circoscrivono le proprie ville e i propri domini. La vita di un boss è breve, il potere di un clan tra faide, arresti, massacri ed ergastoli non può durare a lungo. Ingolfare di rifiuti tossici un territorio, circoscrivere i propri paesi di catene montuose di veleni può risultare un problema solo per chi possiede una dimensione di potere a lungo termine e con responsabilità sociale. Nel tempo immediato dell'affare c'è invece solo il margine di profitto elevato e nessuna controindicazione. La parte più consistente dei traffici di rifiuti tossici ha un vettore unico: nord-sud. Dalla fine degli anni '90 diciottomila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta e un milione di tonnellate, in quattro anni, sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. Dal nord i rifiuti trattati negli impianti di Milano, Pavia e Pisa venivano spediti in Campania. La Procura di Napoli e quella di Santa Maria Capua Vetere hanno scoperto nel gennaio 2003, grazie alle indagini coordinate dal pubblico ministero Donato Ceglie, che in quaranta giorni oltre seimilacinquecento tonnellate di rifiuti dalla Lombardia sono giunte a Trentola Ducenta, vicino a Caserta.

Le campagne del napoletano e del casertano sono mappamondi della monnezza, cartine al tornasole della produzione industriale italiana. Visitando discariche e cave è possibile vedere il destino di interi decenni di prodotti industriali italiani. Mi è sempre piaciuto girare con la Vespa nelle stradu-cole che costeggiano le discariche. È come camminare sui residui di civiltà, stratificazioni di operazioni commerciali, è come fiancheggiare piramidi di produzioni, tracce di chilometri consumati. Strade di campagna spesso terribilmente cementificate per agevolare l'arrivo dei camion. Territori dove la geografia degli oggetti si compone di un mosaico vario e molteplice. Ogni scarto di produzione e d'attività ha la sua cittadinanza in queste terre. Una volta un contadino stava arando un campo che aveva appena comperato, esattamente al confine tra il napoletano e il casertano. Il motore del trattore si ingolfava, era come se la terra quel giorno fosse particolarmente compatta. D'improvviso iniziarono a spuntare ai lati del vomere brandelli di carta. Erano soldi. Migliaia e migliaia di banconote, centinaia di migliaia. Il contadino si catapultò dal trattore e iniziò a raccogliere freneticamente tutti i brandelli di danaro, come un bottino nascosto chissà da quale bandito, frutto di chissà quale immensa rapina. Erano soltanto soldi tagliuzzati e scoloriti. Banconote triturate provenienti dalla Banca d'Italia, tonnellate di balle di soldi consumati e finiti fuori conio. Il tempio della lira era finito sotto terra, i rimasugli della vecchia cartamoneta rilasciavano il loro piombo in un campo di cavolfiori.

Vicino a Villaricca i carabinieri individuarono un terreno dove erano state accumulate le carte utilizzate per la pulizia delle mammelle delle vacche, provenienti da centinaia di allevamenti veneti, emiliani, lombardi. Le mammelle delle vacche vengono continuamente pulite, due, tre, quattro volte al giorno. Ogni volta che devono inserire le ventose dei mungitori automatici gli stallieri devono pulirle. Spesso poi le vacche si ammalano di mastiti e patologie simili, e iniziano a secernere pus e sangue, ma la vacca non viene messa a riposo: semplicemente ogni mezz'ora bisogna nettarla, altrimenti il pus e il sangue finiscono nel latte e interi fusti si pregiudicano. Quando passavo per le colline di carta di mammella, sentivo puzza di latte andato a male. Forse era solo suggestione, forse quel colore giallastro delle carte ammonticchiate deformava anche i sensi. Fatto è che questi rifiuti, accumulati in decenni, hanno ristrutturato gli orizzonti, fondato nuovi odori, fatto comparire chiazze di colline inesistenti, le montagne divorate dalle cave hanno d'improvviso riavuto la massa perduta. Passeggiare nell'entroterra campano è come assorbire gli odori di tutto quanto producono le industrie. A vedere mescolato alla terra il sangue arterioso e venoso delle fabbriche di tutto il territorio, viene in mente qualcosa di simile alla palla di plastilina assemblata dai bambini con tutti i colori disponibili. Vicino a Grazzanise era stata accumulata tutta la terra di spazzamento della città di Milano. Per decenni tutta la spazzatura raccolta nelle pattumiere dai netturbini milanesi, quella scopata al mattino, era stata raccolta e spedita da queste parti. Dalla provincia di Milano ogni giorno ottocento tonnellate di rifiuti finiscono in Germania. La produzione complessiva è però di milletrecento tonnellate. Ne mancano quindi all'appello cinquecento. Non si sa dove vanno a finire. Con grande probabilità questi rifiuti fantasma vengono sparpagliati in giro per il Mezzogiorno. Ci sono anche i toner delle stampanti ad ammorbare la terra, come scoperto dall'operazione del 2006 "Madre Terra" coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Tra Villa Literno, Castelvolturno e San Tammaro, i toner delle stampanti d'ufficio della Toscana e della Lombardia venivano sversati di notte da camion che ufficialmente trasportavano compost, un tipo di concime. L'odore era acido e forte, ed esplodeva ogni volta che pioveva. Le terre erano cariche di cromo esavalente. Se inalato, si fissa nei globuli rossi e nei capelli e provoca ulcere, difficoltà respiratorie, problemi renali e cancro ai polmoni. Ogni metro di terra ha il suo carico particolare di rifiuti. Una volta un mio amico dentista mi aveva raccontato che alcuni ragazzi gli avevano portati dei teschi. Dei teschi veri, di esseri umani, per fargli pulire i denti. Come tanti piccoli Amleto avevano in una mano il cranio e nell'altra una mazzetta di soldi per pagare l'intervento di pulizia dentale. Il dentista li cacciava dal suo studio e poi mi faceva telefonate nervose: "Ma dove cazzo li prendono 'stì. teschi? Dove se li vanno a cercare?". Immaginava scene apocalittiche, riti satanici, ragazzini iniziati al verbo di Belzebù. Ridevo. Non era difficile capire da dove venivano. Passando vicino Santa Maria Capua Vetere una volta avevo bucato la ruota della Vespa. Il pneumatico si era tagliato passando sopra a una specie di bastone affilato che credevo fosse un femore di bufalo. Ma era troppo piccolo. Era un femore umano. I cimiteri fanno esumazioni periodiche, tolgono quello che i becchini più giovani chiamano "gli arcimorti", quelli messi sotto terra da più di quarant'anni. Dovrebbero smaltirli assieme alle bare e a tutto il materiale cimiteriale, lucine comprese, attraverso ditte specializzate. H costo dello smaltimento è elevatissimo, e così i direttori dei cimiteri danno una mazzetta ai becchini per farli scavare, e poi buttano tutto sui camion. Terra, bare macerate e ossa. Trisavoli, bisnonni, avi di chissà quali città si ammonticchiavano nelle campagne casertane. Se ne sversavano talmente tanti, come scoperto dai NAS di Caserta nel febbraio 2006, che ormai la gente quando passava vicino si faceva il segno della croce, come fosse un cimitero. I ragazzini fregavano i guanti da cucina alle loro madri e — scavando con mani e cucchiai — cercavano i teschi e le gabbie toraciche intatte. Un teschio con i denti bianchi, i venditori dei mercatini delle pulci potevano comprarlo anche a cento euro. Una gabbia toracica intatta invece, con tutte le costole al loro posto, fino a trecento euro. Tibie, femori e braccia non hanno mercato. Le mani sì, ma si perdono facilmente i pezzi nella terra. I teschi

con i denti neri valgono cinquanta euro. Non hanno un grande mercato, alla clientela sembra non fare schifo l'idea della morte, quanto piuttosto il fatto che lo smalto dei denti lentamente inizi a marcire.

Da nord verso sud i clan riescono a drenare di tutto. Il vescovo di Nola definì il sud Italia la discarica abusiva dell'Italia ricca e industrializzata. Le scorie derivanti dalla metallurgia termica deU'alluminio, le pericolose polveri di abbattimento fumi, in particolare quelle prodotte dall'industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori. Le morchie di verniciatura, i liquidi reflui contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica che vanno a inquinare altri terreni non contaminati. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti pericolosi di petrolchimici storici come quello dell'ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce sull'Arno, i fanghi dei depuratori di Venezia e di Forlì di proprietà di società a prevalente capitale pubblico.

Il meccanismo dello smaltimento illecito parte da imprenditori di grosse aziende o anche da piccole imprese che vogliono smaltire a prezzi irrisori le loro scorie, il materiale di risulta da cui più nulla è possibile ricavare se non costi. Al secondo passaggio ci sono i titolari di centri di stoccaggio che attuano la tecnica del giro di bolla, raccolgono i rifiuti e in molti casi li miscelano con rifiuti ordinari, diluendo la concentrazione tossica e declassificando, rispetto al CER, il catalogo europeo dei rifiuti, la pericolosità dei rifiuti tossici.

I chimici sono fondamentali per ribattezzare un carico da rifiuti tossici in innocua immondizia. Molti forniscono un formulario di identificazione falso con codici di analisi menzognere. Poi ci sono i trasportatori che percorrono il paese per raggiungere il sito prescelto per smaltire, e infine ci sono gli smaltitori. Questi possono essere gestori di discariche autorizzate o di un impianto di compostaggio dove i rifiuti vengono coltivati per farne concime, ma possono anche essere proprietari di cave dismesse o di terreni agricoli adibiti a discariche abusive. Laddove c'è uno spazio con un proprietario, lì può esserci uno smaltitore. Elementi necessari nel far funzionare l'intero meccanismo sono i funzionari e dipendenti pubblici che non controllano, né verificano le varie operazioni, o danno in gestione cave e discariche a persone chiaramente inserite nelle organizzazioni criminali. I clan non devono fare patti di sangue con i politici, né allearsi con interi partiti. Basta un funzionario, un tecnico, un dipendente, uno qualsiasi che vuole far lievitare il proprio stipendio e così, con estrema flessibilità e silenziosa discrezione, si riesce a ottenere che l'affare si svolga, con profitto per ogni parte coinvolta. I veri artefici della mediazione però sono gli stakeholder. Sono loro i veri geni criminali dell'imprenditoria dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi. In questo territorio, tra Napoli, Salerno e Caserta si foggiano i migliori stakeholder d'Italia. Per stakeholder si intende — nel gergo aziendale — quelle figure d'impresa che sono coinvolte nel progetto economico e che con la loro attività sono direttamente, o indirettamente, in grado di influenzarne gli esiti. Gli stakeholder dei rifiuti tossici erano ormai divenuti un vero e proprio ceto dirigente. E non era raro sentirmi dire nei periodi di marcescente disoccupazione della mia vita: "Sei laureato, le competenze ce le hai, perché non ti metti a fare lo stake?".

Per i laureati del sud, senza padri avvocati o notai, era una strada certa all'arricchimento e alle soddisfazioni professionali. Laureati, bella presenza, divenivano mediatori dopo qualche anno passato negli USA O in Inghilterra a specializzarsi in politiche dell'ambiente. Ne ho conosciuto uno. Uno dei primi, uno dei migliori. Prima di ascoltarlo, prima di osservare il suo lavoro non avevo capito nulla della miniera dei rifiuti. Si chiamava Franco, l'avevo conosciuto in treno, di ritorno da Milano. Si era ovviamente laureato alla Bocconi ed era diventato esperto in Germania di politiche per il recupero ambientale. Una delle abilità somme degli stakeholder è quello di conoscere a memoria il CER e di comprendere come destreggiarsi al suo interno. Questo gli permetteva di capire come trattare i rifiuti tossici, come aggirare le norme, come presentarsi alla comunità imprenditoriale con scorciatoie clandestine. Franco era originario di Villa Literno e voleva coinvolgermi nel suo mestiere. Aveva iniziato a raccontarmi del suo lavoro partendo dall'aspetto. Norme e divieti del successo di uno stakeholder. Se ti stavi stempiando, o avevi la chierica, dovevi evitare tassativamente riporti e parrucchi-ni. Era vietato, per un'immagine vincente, avere capelli lunghi ai lati del cranio per coprire gli spazi vuoti della pelata. Il cranio doveva essere rasato, o al massimo con una rada peluria di capelli corti. Secondo Franco, lo stakeholder se invitato a una festa, doveva essere sempre accompagnato da una donna, ed evitare di fare lo squallido tampinatore di tutte le gonne presenti. Se non aveva una fidanzata o non ne aveva una all'altezza, lo stakeholder doveva pagare le escort, le accompagnatrici di lusso, quelle più eleganti. Gli stakeholder dei rifiuti si presentano dai proprietari delle imprese chimiche, dalle concerie, dalle fabbriche di plastica e propongono il loro listino di prezzi.

Lo smaltimento è un costo che nessun imprenditore italiano sente necessario. Gli stake ripetono sempre la stessa medesima metafora: "Per loro è più utile la merda che cacano piuttosto che i rifiuti, per smaltire i quali devono sborsare valigie di soldi". Non devono però mai dare l'impressione di star offrendo un'attività criminale. Gli stakeholder mettono in contatto le industrie con gli smaltitori dei clan e, seppure da lontano, coordinano ogni passaggio dello smaltimento.

Esistono due tipi di produttori di rifiuti: quelli che non hanno altro obiettivo se non risparmiare sul prezzo del servizio, non curandosi dell'affidabilità delle ditte a cui appaltano lo smaltimento. Sono quelli che vedono la loro responsabilità terminare appena fanno uscire i fusti dei veleni dal perimetro delle loro aziende. E quelli direttamente implicati nelle operazioni illegali, che smaltiscono loro stessi illegalmente i rifiuti. In entrambi i casi la mediazione degli stakeholder è necessaria per garantire i servizi di trasporto e l'indicazione del luogo di smaltimento, e l'aiuto per rivolgersi a chi di dovere per la declassificazione di un carico. L'ufficio degli stakeholder è la loro automobile. Con un telefono e un portatile muovono centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti. Il loro guadagno va a percentuali sui contratti con le aziende, in relazione ai chili appaltati da smaltire. Gli stakeholder hanno un listino variabile. I diluenti, che per esempio uno stakeholder legato ai clan può smaltire, vanno dai dieci ai trenta centesimi al chilo. Il pentasolfuro di fosforo un euro al chilo. Terre di spazzamento delle strade, cinquantacinque centesimi al chilo; imballaggi con residui di rifiuti pericolosi, un euro e quaranta centesimi al chilo; fino a due euro e trenta centesimi al chilo le terre contaminate; gli inerti cimiteriali quindici centesimi al chilo; ifluff, le parti non in metallo delle auto, un euro e ottantacinque centesimi al chilogrammo, trasporto compreso. I prezzi proposti ovviamente tengono conto delle esigenze dei clienti e delle difficoltà di trasporto. I quantitativi gestiti dagli stakeholder sono enormi, i loro margini di guadagno esponenziali.