L'aberrazione di una guerra di clan, capitali che si fronteggiano, investimenti che si scannano, ipotesi finanziarie che si divorano, trova sempre una motivazione consolatrice, un senso che possa sospingere altrove il pericolo, capace di far sentire lontano, lontanissimo un conflitto che sta invece avvenendo nell'androne di casa. Puoi collocare tutto in un casellario di senso che lentamente ti costruisci, ma gli odori, quelli non possono essere irreggimentati, ci sono. Lì. Come traccia estrema e unica di un patrimonio d'esperienza disperso. Nel naso mi erano rimasti odori; non solo l'odore di segatura e sangue, né i dopobarba dei ragazzini soldati messi su guance senza peli, ma soprattutto i sapori dei profumi femminili. Mi rimaneva sotto le narici l'odore pesante dei deodoranti, delle lacche, dei profumi dolci.
Le donne sono sempre presenti nelle dinamiche di potere dei clan. Non è casualità che la faida di Secondigliano ha visto eliminare due donne con ferocia riservata solitamente solo ai boss. Così come centinaia di donne erano scese in strada a impedire gli arresti di spacciatori e sentinelle, a incendiare cassonetti e strattonare per i gomiti i carabinieri. Le ragazzine le vedevo correre ogni volta che una telecamera spuntava per strada, si catapultavano davanti agli obiettivi, sorridevano, accennavano un motivetto, chiedevano di essere intervistate, gironzolavano intorno al cameraman per vedere quale logo ci fosse sulla telecamera, per capire quale televisione le stesse riprendendo. Non si sa mai. Qualcuno avrebbe potuto osservarle e chiamarle in qualche trasmissione. Le occasioni qui non capitano ma si strappano coi denti, si comprano, si cercano scavando. Le occasioni devono uscire per forza. E così anche con i ragazzi, nulla è lasciato alla casualità dell'incontro, al fato dell'innamoramento. Ogni conquista è una strategia. E le ragazze che non fanno strategie rischiano una leggerezza pericolosa e di trovarsi mani dappertutto e lingue così insistenti da trapanare i denti serrati. D jeans attillato, la maglietta aderente: tutto deve rendere la bellezza un'esca. La bellezza in certi luoghi sembra una trappola, anche se la più piacevole delle trappole. E così se cedi, se insegui il piacere di un momento, non sai a cosa vai incontro. La ragazza sarà tanto più brava se riuscirà a farsi corteggiare dal migliore e una volta caduto nella trappola, conservarlo, trattenerlo, sopportarlo, ingoiarlo a naso tappato. Ma tenerlo per sé. Tutto. Una volta passavo vicino a una scuola. Da una moto scese una ragazzina. Scese lentamente per dare il tempo a tutti di osservare bene la moto, il casco, i guanti da motociclista e i suoi stivali a punta che a stento riusciva a mettere per terra. Un bidello, uno di quelli eterni che tengono sotto gli occhi generazioni di ragazzini, le si avvicinò e disse: "France', ma già fai ammore? E poi con Angelo, ma tu lo sai che finisce a Poggioreale?".
"Fa ammore" non significa fare l'amore, ma fidanzarsi. Questo Angelo era da poco entrato nel Sistema e non sembrava ricoprire cariche poco importanti. Presto secondo il bidello sarebbe finito nel carcere di Poggioreale. Prima ancora che la ragazzina tentasse di difendere il suo ragazzo, aveva pronta una risposta. Una risposta di quelle che sembrano trovarsi in tasca: "E qual è il problema perché non mi dà lo stesso la mesata? Quello mi vuole bene veramente…".
La mesata. Questo il primo successo della ragazza. Qualora fosse finito in galera il suo ragazzo, avrebbe conquistato un salario. La mesata è il salario mensile che i clan danno alle famiglie degli affiliati. Fidanzandosi, la mesata viene girata alla fidanzata anche se conviene, per essere certi della reversibilità, essere incinta. Non necessariamente sposata, basta un bambino, anche solo nella pancia. Se sei soltanto fidanzata rischi che si presenti al clan qualche altra ragazza, magari sino ad allora tenuta nascosta, ragazze che non sanno l'una dell'altra. In questo caso o è il responsabile di zona del clan che decide se dividere la mesata tra due donne, cosa rischiosa perché genera molta tensione tra famiglie, o si fa decidere all'affiliato a quale ragazza darla. Si decide nella maggior parte delle volte di non dare la mesata a nessuna delle due, girandola direttamente alla famiglia del carcerato e risolvendo così di netto il problema. Matrimonio o puerperio, sono gli elementi che garantiscono con certezza gli stipendi. I soldi vengono portati quasi sempre a mano, evitando così di lasciare troppe tracce sui conti correnti. Vengono portati dai "sottomarini". H sottomarino è la persona che viene incaricata di distribuire le mensilità. Li chiamano così perché strisciano sul fondo delle strade. Non si fanno mai vedere, non devono essere facilmente rintracciabili perché possono essere ricattati, messi sotto pressione, rapinati. Emergono dalla strada d'improvviso, arrivando alle stesse case seguendo percorsi sempre diversi. Il sottomarino cura gli stipendi dei livelli più bassi del clan. I dirigenti invece chiedono la somma di cui hanno bisogno di volta in volta e trattano direttamente con i cassieri. I sottomarini non sono parte del Sistema, non vengono affiliati; potrebbero, gestendo i salari, sfruttare questo ruolo fondamentale e aspirare a crescere nel clan. Sono quasi sempre pensionati, ragionieri di negozio, vecchi contabili di bottega, che lavorando per i clan incassano un altro stipendio arrotondando la pensione e soprattutto riuscendo a uscire di casa senza marcire davanti alla televisione. Bussano il 28 di ogni mese, poggiano le loro buste di plastica sui tavoli e poi dall'interno della giacca, da una tasca gonfissima, cacciano una busta di carta con sopra scritto il cognome dell'affiliato morto o in galera e la danno alla moglie, o se non c'è al figlio più grande. Quasi sempre assieme alla mesata portano anche un po' di spesa. Prosciutto, frutta, pasta, uova, un po' di pane. Salgono le scale strusciando le buste vicino alle pareti. Quello struscio continuo, i piedi pesanti, quello è il campanello del sottomarino. Sono sempre carichi come asini, comprano la spesa nelle stesse salumerie e dai medesimi fruttivendoli, fanno un unico carico che poi portano a tutte le famiglie. Si comprende quante mogli di carcerati o vedove di camorristi vivono in una strada da come il sottomarino è carico.
Don Ciro è stato l'unico sottomarino che sono riuscito a conoscere. È del centro storico, ha curato gli stipendi di clan ormai allo sbando ma che lentamente, in questa nuova fase fertile, stanno cercando di riorganizzarsi e non soltanto di sopravvivere. I clan dei Quartieri Spagnoli e per alcuni anni anche quelli di Forcella. Ora lavorava saltuariamente per il clan del quartiere Sanità. Don Ciro era talmente capace di trovare nel dedalo dei vicoli napoletani case, bassi, seminterrati, palazzi senza numero civico, case ricavate negli angoli dei pianerottoli, che a volte i postini, che si perdevano continuamente, gli affidavano la posta da portare ai suoi clienti. Don Ciro aveva le scarpe sfondate, nel senso che l'alluce gli faceva un bozzo, come un bubbone, in punta e le suole erano consumate sul tallone. Quelle scarpe erano davvero l'emblema del sottomarino e simboli autentici dei chilometri macinati a piedi per vicoli e salite, di percorsi resi più lunghi nelle strade del corpo di Napoli, assaliti dalla paranoia di inseguimento o rapine. Don Ciro indossava pantaloni maltrattati, sembravano puliti ma non stirati. Non aveva più moglie e la sua nuova compagna moldava era troppo giovane per occuparsi davvero di lui. Pauroso sin nel midollo, guardava sempre per terra anche quando mi parlava, aveva i baffi gialli, laccati dalla nicotina così come l'indice e il medio della mano destra. I sottomarini danno la mesata anche agli uomini delle donne finite dentro. È umiliante per loro ricevere la mesata della moglie carcerata, così in genere i sottomarini per evitare finti rimproveri, urla sui pianerottoli, plateali cacciate di casa fatte però senza dimenticare mai di prendere prima la busta coi soldi, per evitare tutto questo, vanno in casa delle madri delle affiliate, e recapitano a loro il mensile da girare alla famiglia della detenuta. I sottomarini ascoltano ogni tipo di lamentela dalle mogli degli affiliati. Lamentele sull'aumento delle bollette, del fitto, sui figli che si fanno bocciare o che vogliono andare all'università. Ascoltano ogni richiesta, ogni inciucio sulle mogli degli altri affiliati che hanno più soldi perché i mariti più furbi sono riusciti a crescere di grado all'interno dei clan. Mentre parlano, il sottomarino ripete continuamente "lo so, lo so, lo so". Come per far sfogare meglio le signore, a fine discorso pronuncia soltanto due tipi di risposte: "Non dipende da me" oppure "Io porto solo i soldi: chi decide non sono io". Le mogli sanno bene che i sottomarini non decidono nulla, ma sperano che riempiendoli di lamentele prima o poi qualcosa dalla bocca del sottomarino uscirà dinanzi a qualche capozona, e forse si decideranno ad aumentare i salari e a concedere maggiori favori. Don Ciro era talmente abituato a dire "lo so lo so", che ogni qual volta
si parlava con lui, su qualsiasi argomento lui cantilenava "lo so, lo so, lo so". Aveva portato le mesate a centinaia di donne di camorra, avrebbe potuto tracciare memorie precise di generazioni di donne, di mogli e fidanzate e anche di uomini soli. Storiografie dei commenti critici a boss e politici, ma don Ciro era un sottomarino silenzioso e malinconico che davvero aveva fatto della sua testa un corpo vuoto dove rimbombava, senza lasciar traccia, ogni parola ascoltata. Mentre gli parlavo mi aveva trascinato dal centro alla periferia di Napoli, poi mi salutò e prese un bus che l'avrebbe fatto tornare al punto da dove eravamo partiti. Era tutto parte della strategia di depistaggio per evitare che intuissi, anche soltanto lontanamente, dove abitasse.
Per molte donne sposare un camorrista spesso è come ricevere un prestito, come un capitale conquistato. Se destino e capacità lo permetteranno quel capitale frutterà, e le donne diventeranno imprenditrici, dirigenti, generalesse di un potere illimitato. Può andare male e rimarranno solo ore in sala d'attesa nelle carceri e preghiere umilianti per andare a fare la colf in concorrenza con le slave, per poter pagare gli avvocati e dare da mangiare ai figli, se il clan va in rovina e non riesce più a dare la mesata. Le donne di camorra attraverso il loro corpo concedono fondamento ad alleanze, il loro volto e il loro comportamento raccolgono e dimostrano il potere della famiglia, in pubblico si riconoscono i loro veli neri ai funerali, le urla durante gli arresti, i baci lanciati oltre le sbarre durante le udienze ai processi.
L'immagine delle donne di camorra sembra comporsi divisioni scontate, donne capaci di fare da eco solo al dolore e alle volontà dei maschi: fratelli, mariti, figli. Non è così. La trasformazione del mondo camorristico negli ultimi anni ha portato anche a una metamorfosi del ruolo femminile che da identità materna, da assistente di sventura è divenuta vera e propria figura manageriale, impegnata quasi esclusivamente nell'attività imprenditoriale e finanziaria, delegando ad altri le imprese militari e i traffici illegali.
Una figura storica di dirigente camorrista è sicuramente Anna Mazza, vedova del padrino di Afragola, una delle prime donne in Italia a essere condannata per reati d'associazione mafiosa, come capo di un sodalizio criminale e imprenditoriale tra i più potenti. Anna Mazza sfruttò inizialmente l'aura del marito Gennaro Moccia, ucciso negli anni '70. La "vedova nera della camorra", come venne ribattezzata, fu la vera mente del clan Moccia per oltre vent'anni, capace di ramificare ovunque il suo potere al punto tale che inviata negli anni '90 in soggiorno obbligato vicino Treviso riuscì — secondo diverse indagini — a prendere contatti con la mafia del Brenta, cercando di rinsaldare la sua rete di potere persino in totale isolamento. Fu accusata subito dopo la morte del marito di aver armato la mano del figlio non ancora tredicenne per uccidere il mandante dell'omicidio del padre. Ma per insufficienza di prove da quest'accusa è stata assolta. La Mazza aveva una gestione verticistica, imprenditoriale e fortemente ostile a impennate militari, capace di condizionare ogni ambito del territorio da lei egemonizzato, come dimostra lo scioglimento nel 1999, per infiltrazioni camorristiche, del comune di Afragola. I politici la seguivano, cercavano il suo appoggio. Anna Mazza era una pioniera. Prima di lei c'era stata solo Pupetta Maresca, la bella killer vendicatrice che divenne celebre in tutt'Italia a metà anni '50, quando incinta di sei mesi decise di vendicare la morte del marito Pa-scalone 'e Nola.
Anna Mazza non fu soltanto vendicatrice. Comprese che sarebbe stato più semplice sfruttare il ritardo culturale dei boss camorristi godendo di una sorta di impunità che veniva riservata alle donne. Un ritardo culturale che la rendeva immune da agguati, invidie, e conflitti. Negli anni '80 e '90 riuscì a dirigere la famiglia con spiccata propensione al miglioramento delle proprie imprese, alla volontà di trovare vantaggio attraverso una certosina scalata nell'ambito edilizio. H clan Moccia divenne tra i più importanti nella gestione degli appalti edili, nel controllo delle cave e nella mediazione dell'acquisto di terreni edificabili. Tutto il napoletano che si dipana da Frattamaggiore, Crispano, Sant'Antimo e poi Frat-taminore, Caivano, è dominato da capizona legati ai Moccia. Negli anni '90 divennero uno dei pilastri della Nuova Famiglia, il vasto cartello di clan che si oppose alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e che fu capace come giro d'affari e potere politico di superare i cartelli di Cosa Nostra. Con il tracollo dei partiti che avevano ricevuto vantaggio dall'alleanza con le imprese dei clan, i boss della Nuova Famiglia si ritrovarono a essere gli unici arrestati e condannati all'ergastolo. Non volevano pagare al posto dei politici che avevano aiutato e sostenuto. Non volevano essere considerati il cancro di un sistema che invece avevano tenuto in piedi essendone parte viva e produttiva, anche se criminale. Decisero di pentirsi. Negli anni '90 Pasquale Galasso, boss di Poggio-marino, fu il primo personaggio di altissimo calibro imprenditoriale e militare che iniziò a collaborare con la giustizia. Nomi, logiche, capitali, una scelta di pentimento totale, che fu ripagata dallo Stato con la tutela dei beni della sua famiglia, e in parte anche i suoi. Galasso svelò tutto ciò che sapeva. Furono i Moccia la famiglia della grande confederazione che prese su di sé l'incarico di farlo tacere per sempre. Le parole di Galasso avrebbero potuto distruggere il clan della vedova in una manciata di ore e in pochi giri di rivelazioni. Tentarono di corrompere la sua scorta per farlo avvelenare, progettarono di eliminarlo a colpi di bazooka. Ma dopo i falliti tentativi militari organizzati dai maschi di casa per eliminarlo, intervenne Anna Mazza che intuì esser giunto il momento di una nuova strategia. Proporre la dissociazione. Fece trasmigrare il concetto dal terrorismo alla camorra. I militanti delle organizzazioni armate si dissociavano senza pentirsi, senza svelare nomi e accusare mandanti ed esecutori. Dissociarsi era una presa di distanza ideologica, una decisione della coscienza, un tentativo di delegittimare una pratica politica il cui solo rifiuto morale, ufficializzato, bastava a procurare sconti di pena. Per la vedova Mazza sarebbe stato davvero il trucco migliore per eliminare ogni pericolo di pentimento, e al contempo far credere che i clan fossero esterni allo Stato. Allontanarsi ideologicamente dalla camorra, usufruendo dei vantaggi, gli sconti di pena, i miglioramenti delle condizioni carcerarie, ma senza svelare meccanismi, nomi, conti correnti, alleanze. Quella che per alcuni osservatori poteva essere considerata un'ideologia, quella camorrista appunto, per i clan non era altro che l'agire economico e militare di un gruppo in affari. I clan si stavano trasformando: la retorica criminale cessava, la mania cutoliana dell'ideologizzazione dell'agire camorrista era esaurita. La dissociazione poteva essere la soluzione al letale potere dei pentiti, che seppur gonfio di contraddizioni è il vero fulcro dell'attacco al potere della camorra. E la vedova comprese l'alto potenziale di questo trucco. I figli scrissero a un prete facendo mostra di volersi redimere, una macchina piena di armi avrebbe dovuto esser lasciata ad Acerra davanti a una chiesa come simbolo di "dissociazione" del clan, come TIRA fa con gli inglesi. Deposizione delle armi. Ma la camorra non è un'organizzazione indipendentista, un nucleo armato, e le sue armi non sono il suo reale potere. Quella macchina non fu mai fatta trovare e la strategia della dissociazione nata dalla testa di una donna boss, lentamente perse fascino, non venne ascoltata dal parlamento e dalla magistratura, ma neanche più sostenuta dai clan. I pentiti divennero sempre di più e con verità sempre meno utili, e le grandi rivelazioni di Galasso sconfessarono gli apparati militari dei clan, lasciandone però praticamente intatti i piani imprenditoriali e politici. Anna Mazza continuò la sua costruzione di una sorta di matriarcato della camorra. Le donne come vero centro del potere e gli uomini braccia armate, mediatori, dirigenti soltanto dopo le decisioni delle donne. Decisioni importanti, economiche e militari, spettavano alla vedova nera.